Rubrica “Incontri”
A cura di Salvino Cavallaro
Ci sono momenti in cui mi sembra di essermi addormentato a fine febbraio e di continuare il mio sonno fatto di incredulità, di un qualcosa che assomiglia alla fantascienza. Una narrazione di vicende surreali apparentemente fondate su elementi scientifici. E allora ti sembra di vivere in uno stato di semi incoscienza in cui il tempo si è fermato a quel giorno prima, a quegli attimi prima di andare a letto per non risvegliarti ancora oggi. E così mi giro e rigiro nel sonno, mentre mi appaiono le lunghe file delle camionette militari con i morti da bruciare, le urla degli ammalati in terapia intensiva che non riescono a respirare e lo stridio continuo delle ambulanze che hanno il significato di strappare alla vita gli ammalati. Un momento in cui ti prendono e ti portano via da casa, dal tuo mondo e dagli affetti più cari che non rivedrai mai più perché sei infetto, pericolosamente infetto e portatore di infezione da covid 19, il virus che tutto ha cambiato, capovolto, disumanizzato il genere umano cui è vietato stringersi, abbracciarsi, baciarsi e persino versare una lacrima di sconforto sulla spalla della persona amata, di un amico, di una figura cui hai bisogno di manifestare tutta la tua fragilità e conquistare la complicità del dolore. E invece no, bisogna stare lontani, distanziarsi di almeno un metro, indossare la mascherina, sanificare ogni cosa che tocchi e lavarsi ripetutamente le mani. E intanto arriva il lockdown, la chiusura al mondo, la clausura con il privarsi di ogni libertà di vivere, di lavorare, di produrre, di sentirsi vivi, di dare un significato alla nostra esistenza. Due lunghi mesi a non aprire neanche la porta di casa e lavorare, scrivere, se non dalla propria stanza che ha assunto le sembianze di una prigione. Già, una prigione! Ma perché questa dannata prigione, se non hai fatto nulla di male? Già, nulla di male. E il virus dove lo metti? Ma che cos’è mai questo ospite malefico e sconosciuto che nessuno ha invitato, voluto? Mah, chissà! Eppure, piccolo come appare, è in grado di cambiare il mondo, le abitudini, mettendo da parte ogni ambizione umana, relazione, ogni aspirazione di carriera, di tutto ciò che si chiama vita. E adesso che sembra attenuarsi il focolaio, il virus ti guarda in faccia e ti dice di stare attento, di non fare il furbo perché è sempre lì a colpirti, quasi che a desiderare la voglia di vivere, di cominciare a riconoscersi partecipi di questo mondo sia un lusso che non possiamo permetterci. E intanto la scuola riapre con mille precauzioni, attenzioni, legittime paure di contagio per i bimbi, per i ragazzi più grandi e per il personale insegnanti. Tutto continua tra chi non ce l’ha fatta per svilimento, per disperazione di un futuro che non sembra più esserci. E’ il virus che fa emergere tutta la nostra fragilità, la perduta voglia di combattere, anche con un nemico invisibile. E mentre dormo ancora, in me non c’è altro desiderio di non destarsi ancora, per restare ancorato a quel prima in cui non sapevo cosa stesse per accadere.
Salvino Cavallaro